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Il discorso letterario - è noto - ricoprì un ruolo fondamentale per l'affermazione dei miti costituenti l'idea di nazione. Una funzione che non si esaurì affatto con l'approdo istituzionale delle lotte risorgimentali ma anzi ebbe una rilevanza (se è possibile) anche maggiore quando si cercò faticosamente di far coincidere i modelli identitari con la concreta esperienza del nuovo Stato. Questo libro ripercorre settanta anni di storia osservando alcuni episodi che paiono tanto più esemplari quanto più problematici rispetto a questo «ufficio» (per dirla con Foscolo) della letteratura. Dalle vicende di Monti in età napoleonica, sostenitore di una prospettiva nazionale prima e poi poeta (apparentemente omologato) del «Governo», alla figura di Rasori, grande letterato 'europeo', eppure isolato da Classici e Romantici; dall'istituto del comizio popolare, parodizzato in molte pagine romanzesche, alla rappresentazione polemica delle sconfitte militari del Risorgimento, i saggi di questo volume cercano quindi di porre lo sguardo soprattutto sugli accenti disarmonici, sulle memorie non condivise e forse, talvolta, un po' trascurate.